Donna. Femmina. Bambina. Ragazza. Oggi si festeggia il nostro essere ‘altro’ dall’uomo. Maschio. Bambino. Ragazzo. Ah no, scusate, non si festeggia, si ricorda un fatto storico. Si regalano le mimose. Ah no, scusate, le mimose non le vogliamo, ma neanche le rose, né le gerbere…sulle orchidee non trovo ricorrenze. E’ la nostra festa, quindi siamo a posto così. Ah no, scusate, non è la nostra festa perché la nostra festa deve essere tutti i giorni, oppure mai…magari solo i giorni pari degli anni bisestili. Siamo più donne oggi di ieri perché abbiamo conquistato l’autonomia dal maschio padrone. Ah no, siamo più donne oggi di ieri perché siamo diventate le padrone della nostra vita e possiamo scegliere se fare sesso per amore, passione o semplice voglia. Inizio a non capire più molto bene cosa vogliamo. Cioè, intendiamoci, capisco molto bene che ciò che più vogliamo è una parità di diritti e di riconoscimenti. E lo condivido. Capisco bene che avvallare un ‘auguri’ messo lì tra il buongiorno e la buonanotte come indice del riconoscimento della nostra identità di donne non vada bene, ma è necessario sempre complicare tutto? Cioè, tutti i giorni dobbiamo lottare contro il femminicidio, la prevaricazione, il mancato riconoscimento, la disuguaglianza, la non curanza, il maschilismo becero, la svendita del corpo, le catene (reali e mentali), ma se un giorno all’anno riceviamo un mazzo di mimose o rose, o tulipani e se a regalarcele è un uomo che magari ci ama, ci apprezza e ci rispetta anche, ecco magari concludiamo la cosa con un semplice ‘grazie’. Questo non ci renderà meno donne, meno emancipate, meno implicate in una vita complessa per il solo fatto di essere nate femmine.