Non smetto mai di parlare.

Carpe diem

Ieri sera ho guardato ‘L’attimo fuggente’ con Pietro. Avevo la sua stessa età quando l’ho visto per la prima volta, poi l’ho riguardato anni dopo, ma certe scene le ricordo in modo assolutamente perfetto (pur essendo la mia memoria per i film – e chi mi conosce può testimoniarlo – assolutamente fallibile e imperfetta). Ho pianto sulla scena finale, emozionandomi ancora una volta. Pietro mi ha rivelato che pensava che il film avrebbe avuto una svolta comica, che il suicidio sarebbe stato solo una finzione, uno scherzo fatto ai genitori, nulla di più.

Quanta abitudine agli happy end c’è dietro a questo pensiero? Stiamo allevando giovani disabituati al dolore, alla frustrazione, alla difficoltà. E’ vero che noi siamo cresciuti con Bambi, che perdeva la madre dopo pochi minuti dall’inizio, con Remì, di cui non ricordo episodi meno che strazianti, Candy Candy, orfana che aveva come unico amico un procione. Eppure questo ci ha abituati che non tutto finisce bene, che non c’è sempre un replay dietro l’angolo, che certi game over sono proprio definitivi e non si ricomincia la partita e così abbiamo imparato ad assaporare la vita con i suoi alti e i suoi bassi, per quanto sgraditi possano essere. Come può capire un adolescente moderno il ‘carpe diem’ al quale, al tempo, ci siamo attaccati come fosse stata la rivelazione più illuminante della nostra vita? Cogli l’attimo… per noi era un monito a ‘non perdere tempo’, ‘non lasciarci sfuggire le occasioni’ dietro dubbi, timori, troppe riflessioni. Che fosse la dichiarazione d’amore da fare alla compagna di banco, che elaboravamo in pomeriggi di studio, scrivevamo su un biglietto e poi attendevamo per giorni l’intervallo giusto in cui infilarglielo in cartella. O che fosse la partita di pallavolo per la quale allenarsi senza sosta anche fosse il campionato intercondominiale del cortile. Ma che ne sanno i duemila…mi verrebbe da citare. Loro che mandano cuori e dichiarano interesse con la rapidità di un like su Instagram e nemmeno si prendono il tempo di riflettere se quel messaggio è giusto o comunque il migliore che si possa dare alla ragazzina con gli occhi azzurri, che sorride loro da fondo aula in una maniera così travolgente da non capire più nulla. Ecco forse il ‘carpe diem’ per loro potrebbe essere un monito a cogliere l’attimo per riflettere, consapevoli che quell’azione conclusa in un attimo può avere conseguenze di ben maggiore lunghezza e portata. Credo dovremmo sforzarci di insegnargli che è necessario prendersi il tempo per assaporare le emozioni e goderne in pieno, senza fagocitarle nella fretta dei click e del consumo veloce. Credo dovremmo sforzarci di insegnare loro che non finisce sempre tutto bene, qualche volta la conclusione non è quella che vorremmo e anche se si soffre è parte della vita. Credo dovremmo imparare noi per primi che una seconda possibilità non è sempre data e quando si perde la prima sono problemi o almeno opportunità perse. Che la vita alla velocità dei click non è vita reale, la vita scorre sulla pelle e, benché la trasmissione degli stimoli al nostro cervello sia ancora più veloce di un click, le emozioni sono lente, ma potenti ben più del super mostro della fine livello.

A Pietro il film è piaciuto, ne abbiamo parlato, ha compreso il senso e lo ha apprezzato. Credo si sia anche emozionato. Da studente di latino alle prime armi, come ero io alla sua età, ha colto quel ‘carpe diem’ come segnale che anche una lingua antica può dirci qualcosa di moderno e importante, che un monito di questa portata non lo si può ignorare, ma bisogna almeno rifletterci un po’.

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