Sono cresciuta con una madre che ha decisamente stimolato il mio senso di responsabilità sin da piccolissima. Ho sempre avuto e sempre ho ben chiaro ciò di cui sono responsabile e ciò a cui non posso quindi sottrarmi. In questo periodo di pandemia, in cui la paura e la sensazione di costante smarrimento la fanno da padrona per tutti, sento ancor più il peso di quella responsabilità che ho nei confronti delle persone che amo. A partire dai miei figli, passando per mia madre e arrivando a chi ruota intorno al mio nucleo familiare a vario titolo (passato o presente che sia). Ciò che più mi avvilisce è la consapevolezza di avere ben pochi strumenti per proteggerli e tutelarli da una situazione complessa e gestita (troppe volte) con approssimazione e scarsa lungimiranza.
Mi rendo però conto che condivido questo mio sentire con tante altre amiche, donne, che si barcamenano tra lavoro, figli e genitori più o meno anziani continuando a ricostruire organizzazioni, piani, strumenti per tenere in equilibrio il proprio nucleo vitale, mentre trovo scarsa empatia nel mondo degli uomini, ai quali non voglio fare un torto, ma credo sia geneticamente costituito per affrontare le situazioni in maniera assolutamente differente e maggiormente distaccata (forse più lucida?). Ripeto, non me ne vogliano gli uomini che condividono con noi questa situazione difficile, ma devo ammettere che più si riacutizzano le difficoltà, più ci si deve confrontare con limitazioni e riprogrammare priorità pensando all’oggi, ma senza dimenticare il domani, più il mondo maschile lo sento distante: come da sua natura concentrato sul quotidiano, a tal punto da riuscire ad isolare il momento contingente da quello che lo seguirà (inevitabilmente), per affrontarlo solo in un secondo momento. Eppure a me pare così chiaro (ed è qui che si aprono i diverbi con il mio fidanzato ;-)) che il momento seguente non possa essere affrontato solo quando diventa contingente…troppo spesso sarebbe tardi per farsene carico. Non voglio dire che gli uomini vivano meglio o se ne freghino, assolutamente no, ho esempi di uomini che si impegnano ad esserci e provano a stare al passo, ma in questa emergenza la differenza di velocità di pensiero è enorme.
Se mi preoccupo e mi avvilisco a vedere Pietro davanti a un computer a fare lezione, senza la possibilità di condividere la vita scolastica con i compagni non è perchè non capisco che questo è ciò che è imposto e quindi dobbiamo accettarlo, ma perché so che le settimane e i mesi trascorsi così renderanno il suo impegno scolastico più difficoltoso, dovrò esserci io alle sue spalle a spronarlo, caricarlo, supportarlo e restituirgli un po’ di quell’emozione che la didattica a distanza toglie. Dovrò farmi carico di diventare anche controllore, perché la dispersione davanti a un monitor è cento volte più facile di quella davanti a un professore, perché la soddisfazione per un buon risultato è inferiore vissuta sulla scrivania della propria stanza in solitaria rispetto allo spazio in aula condiviso con i compagni. Se affianco Thomas nel suo nuovo cammino scolastico, dò peso a ogni singolo risultato, lo supporto in ogni momento, non è perché un sette è meglio di un sei o perché ciò che studia contribuisce alla sua cultura personale, ma perché so che in questo momento ogni piccola soddisfazione, come ogni scoglio seppur piccolo, contribuiranno a costruire la sua relazione con una scuola con cui deve prendere confidenza e nella quale si giocherà i suoi prossimi anni. E’ una mia responsabilità essere il loro riferimento, anche se hanno uno quattordici anni e l’altro undici e stanno sviluppando una maturità che li renderà sempre più indipendenti. Sono la loro mamma.
Se mi ferisce vedere mia madre da un video e non poterla accarezzare (non lo faccio da febbraio) o non poterle prendere la mano, poco mi importa che tutto questo sia necessario (e ben lo comprendo) e che quindi, di fatto, io non possa farci nulla. Devo pensare a come restituirle un po’ di quel ‘calore’ che le mie mani non possono darle e mi invento strategie e idee, che magari si concretizzano solo in una bottiglia di chinotto fatta arrivare da lei con una tavoletta di cioccolata che tanto le piace e ci offrirà mezz’ora di chiacchiere in maggiore serenità… pur sapendo che quello che ora le sto dando non le restituirà ciò che sta perdendo per sempre. E’ una mia responsabilità. Sono sua figlia.
Se mi impegno a tenere saldi i rapporti con le amiche, con un caffé, una chiacchierata, una colazione non è solo per il piacere immediato che ne deriva, ma perché le relazioni hanno un bisogno vitale di essere alimentate e ciò di cui si nutrono è la condivisione: se adesso per fatica, tempo, difficoltà non le nutro, non posso sperare di trovarle rigogliose e pronte ad accogliermi quando tutto sarà più facile. E’ una mia responsabilità. Sono loro amica.
Ecco, il senso che ciò che facciamo oggi è concausa (se non causa diretta) di ciò che avremo, otterremo, troveremo domani mi è molto chiaro, come anche quanto il mio ruolo individuale sia importante per costruire ciò che troverò nel mio futuro più prossimo o più lontano. Sarà la natura ‘mutitasking’ di cui gli uomini un po’ ci accusano, che ci permette di affrontare in contemporanea più fronti anche molto distanti tra di loro, ma non riesco ad ‘accontentarmi’ di vedere ciò che ho semplicemente davanti, mettere pezze e aspettare. Devo reagire e soprattutto cercare di intervenire prima, dove vedo delle possibilità. Non è guardare avanti, ma pensare prima, cercare di anticipare i problemi per evitarli. Almeno quelli che sono nelle nostre possibilità.
Non pretendo che gli uomini possano capire, ma ogni tanto pretenderei che almeno, pur non contribuento fattivamente, non giudicassero con superficialità, ma si rendessero anche conto che, nella nostra ‘mania’ di guardare avanti, la possibilità di un futuro sereno con loro che abbiamo visto incontrandoli è stato il motivo per cui li abbiamo scelti.