Non smetto mai di parlare.

Pazienza

Ho atteso Thomas per quasi quattro anni. Abbiamo iniziato il percorso di adozione che Pietro aveva sei mesi e siamo atterrati ad Ha Noi per abbracciare suo fratello che lui aveva poco più di quattro anni. Per la precisione 46 mesi dopo che avevamo ufficializzato la nostra intenzione di diventare genitori senza procreare. Credevo che tutta quella attesa, che aveva richiesto una immensa pazienza e una immensa costanza e una altrettanto immensa speranza che tutto andasse bene, mi avessero forgiata e resa capace di affrontare ogni attesa e ogni tempo con razionalità e autocontrollo.
Non è così.
Ogni attesa ancora mi destabilizza, mi rende irrequieta, mi rende più fragile di quanto vorrei, anche se la vita mi ha più volte dimostrato la mia capacità di pazientare e aspettare se l’obiettivo è veramente importante. Eppure, se mi trovo ad aspettare una risposta, una chiamata, un esito sono incapace di lasciare scorrere semplicemente il tempo. Ho la necessità di riempirlo, così che quello man mano trascorso diventi misura della distanza dalla meta che decresce.
Datemi un obiettivo, di risultato, di tempo, di spazio e la mia determinazione sarà asservita al suo raggiungimento; lasciatemi nell’incertezza del termine e la mia mente sarà asservita a pensieri ricorrenti inutili e gravosi.
Ogni volta che cado nella rete, che tendo a me stessa, mi arrabbio e mi riprometto di lavorare a rafforzare la pazienza e a controllare la paura. Fosse facile. È una lotta con me, non con gli altri, benché talvolta ne subiscano gli effetti.
Eppure.

Eppure so che ad alcune cose serve il tempo per maturare. Che la frutta ancora acerba è aspra e mi fa arricciare il naso e tutta la faccia, mentre quella matura mi gratifica con la dolcezza. Eppure so che il piacere che si prova dopo una (anche lunga) attesa ad abbracciare il dono desiderato è enormemente più grande e profondo di quello che si prova per una soddisfazione immediata. Eppure so che la soluzione dei quesiti più complessi richiede analisi, prova, verifica e quindi tempo e costanza. Eppure so che un’idea creativa non nasce a comando sotto l’assalto dell’urgenza, ma si nutre di pazienza e della capacità di cogliere ogni stimolo nel tempo necessario, non un minuto in meno, non uno in più. Eppure so che la misura del tempo cade nell’approssimazione quando è calcolata da soggetti diversi per i quali il poco e il molto hanno riferimenti differenti e i ‘cinque minuti dell’uno’ diventano il ‘più tardi’ dell’altro. Eppure.

Eppure mi trovo a fare i conti con la mia indole in costante movimento, per la quale il tempo va vissuto con energia, passione, foga, mai disperso o atteso.

E anche se mi offro alibi a supporto, alcuni anche di un certo spessore e di buona credibilità, mi ergo a giudice della mia debolezza e la condanno ancor prima che lo possano fare gli altri, già pronta a dire ‘lo so’. Eppure.

Eppure mi conosco e aggiungo ogni giorno un tassello al percorso della vita con la quale cerco di mandare a tempo il respiro, imparando a tenere a freno il cuore che corre e la mente che accelera. Almeno un po’.


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