A Parigi? Cioè vai a Parigi a farti un tatuaggio? Ma non c’era un tatuatore più vicino? Ecco, questa è la reazione che più o meno tutti hanno avuto alla ‘notizia’ che sarei andata nella capitale francese per aggiungere un nuovo disegno alla mia pelle.
Certo che ce ne sono, ci sono fior fiore di tatuatori bravissimi nel nostro paese. Non è detto che siano nel nostro comune, o almeno nella nostra provincia (come molti di quelli che si stupiscono per il mio ‘vagare’ in cerca di artisti anche oltre confine vorrebbero), ma il nostro paese è sicuramente ricco di tatuatori esperti, di grande professionalità e di grande dote. Ma questo poco conta.
Decidere di tatuarsi è scegliere di aggiungere un’esperienza al propro libro dei ricordi, oltre che un nuovo segno sul corpo e per questo io voglio che ogni volta sia speciale.
Ecco perché questo ‘ennesimo’ tatuaggio doveva essere a Parigi. Un caso che sia stato a Parigi, perché prima del Covid la tatuatrice che ho scelto lavorava a Barcellona e quindi sarebbe stata Barcellona la mia destinazione se in mezzo non ci fosse stata una pandemia a sparigliare le carte…e non solo. E doveva essere a Parigi, oltre perché avevo scelto proprio lei per farmelo, perché avevo bisogno di una ‘scusa’ per alzare il culo (ops…ho detto culo) e rimettermi in viaggio dopo i lunghi mesi di lockdown fisico e mentale. Avevo bisogno di avere una motivazione (innalziamola dal livello di ‘scusa’, pur rimanendo in realtà tale) per decidermi a partire, anche fossi stata da sola, come poi è avvenuto. Avevo bisogno di avere una aspettativa (innalziamola dal livello di ‘motivazione’, pur acquisendo così la patina dell’attesa e il rischio della delusione) che caricasse il mio cuore e la mia mente a sufficienza per prenotare biglietto del treno, albergo, comprare un trolley nuovo e dire a tutti, ma proprio tutti compresa me stessa, ‘io parto’. E così è stato. Mi sono circuita a sufficienza per arrivare a Parigi e, non solo farmi il nuovo tatuaggio, ma anche girare da turista e darmi il tempo, o forse obbligarmi, a pensare.
Ho scelto dei fiori di ciliegio. Fragili, leggeri, dalla vita splendente seppure brevissima. Un invito a cogliere l’attimo, a godere di ciò che abbiamo al meglio e con tutta l’intensità possibile perché domani sarà già tardi, sarà già diverso, sarà comunque un altro giorno. Un promemoria per me, ma anche un monito per chi mi si avvicina ad ‘avere cura’ della bellezza che mi riconoscono, perché quando poi la si perde bisogna attendere un intero anno per sperare di ritrovarla. All’ultimo ho aggiunto una scritta: le parole prendono sempre più spazio nella mia vita e, in fin dei conti, mi piace lasciarle fare. F I O R I S C I, ora, adesso, sempre. Per un fiore la fioritura è l’apice dello sviluppo, il momento di massima espressione e bellezza e, pur non essendo di eterna durata, è ciò che dà ragione e motivo a tutto ciò che ci sta prima e a ciò che ci sta dopo: una fioritura mancata è un anno perso e un’opportunità sfuggita. Non fa per me.