Ho letto una frase che mi ha fatta pensare (vuoi mai non lo facessi già da sola)…’per essere felici occorre avere coraggio’. Ma qual’è il coraggio che bisogna avere? Quello di abbandonarsi a ciò che si sente, nel petto, nella pancia o in quel confine fisico tra l’una e l’altra che collocherei all’altezza del diaframma, senza pensare o senza lasciarsi intrappolare dal pensiero del domani? Perché, citando un passo a tutti noto ’del doman non v’è certezza’… domani tutto potrebbe cambiare o finire e allora…sai che macello? O forse è il coraggio di abbandonare le proprie certezze, quelle su come siamo fatti, su cosa vogliamo, sul modo in cui ci immaginiamo la vita, per immergerci e magari lasciarci sopraffare da qualcosa di assolutamente sconosciuto, imprevisto e imprevedibile, che sembra volerci portare per strade che ci spaventano, pur nella meraviglia che proviamo nel percorrerle? O ancora, è il coraggio di mettersi in gioco, assumersi un po’ di responsabilità della propria vita e, sì anche, della propria felicità? Perché, pur apparendo strano, è più facile sentirsi responsabili della propria personale infelicità che del suo contrario…vuoi mai che poi facciamo qualcosa che la rovini non avremmo capri espiatori da tirare in ballo. Ed ecco allora che ci si tira indietro, si cerca di stare ai margini, di fermarsi prima…prima che sia troppo tardi e quella sensazione inebriante prenda possesso di ogni parte del nostro corpo e ci faccia ‘stare bene’.
Oh no, io non sono coraggiosa, sono anzi spaventata dal futuro che può ribaltare le carte in tavola e cambiarci la vita da un momento all’altro; sono spaventata dall’idea di mettere in discussione le mie personali certezze nelle cui radici affondano i miei pensieri e il mio approccio alla vita e che ho costruito con paziente dedizione e a cui spesso ho riconosciuto la mia sopravvivenza; sono spaventata dal senso di responsabilità, che fa parte del mio dna tanto quanto gli occhi marroni e i capelli (un tempo) neri…eppure…non riesco a farne a meno.
Cercare e godere degli scampoli di felicità è per me istintivo. Un’inclinazione naturale direi, un orientamento quotidiano. Un desiderio che diventa leva delle scelte e bilanciamento ponderato dei rischi a cui mi espongo.
Perchè…
Il profumo della felicita è talmente buono da essere irresistibile come quello del pane appena sfornato; il suono della felicita è inebriante come il canto delle sirene, per le quali Ulisse si fece legare al palo della nave, per poterlo udire senza lasciarsi trascinare; il gusto della felicita è talmente dolce da concorrere con il miglior budino al cioccolato, fatto in casa secondo la ricetta di una nonna esperta e amorevole; il contatto con la felicità è come la copertina morbida nella quale ci avvolgiamo per goderci un film nelle sere invernali sdraiati sul divano; ma soprattutto la vista della felicità è la manifestazione evidente della bellezza della vita, di quanto di meraviglioso può offrirci, che dà ragione anche dell’esistenza dell’infelicità, come stato passeggero che troverà compensazione proprio nel suo opposto…prima o dopo che sia.