Perché la felicità non la compri al supermercato, non la trovi nei cestoni delle offerte, non te la offrono al discount o nella bottega artigiana del ‘tutto fatto a mano’. Cè chi te la spaccia a poco prezzo, illudendoti di poterla possedere con uno scambio materiale, ma è felicità ‘tarocca’, brutta copia dell’originale e per questo poco resistente, poco duratura, di scarsissima qualità e si restringe in lavatrice anche con lavaggio a freddo.
Come è possibile insegnare una cosa che è diversa per ciascuno? Non è un prodotto con marchio DOP o DOC, che ne assicuri la ricetta e il sapore. Non è un oggetto prodotto in serie, a soddisfazione del desiderio di tanti come il Cicciobello della mia infanzia che usciva dalla fabbrica con vestitino in cotone azzurro e cuffietta abbinata. Non è nemmeno il tortellino modenese, che varia a seconda delle mani che lo producono, ma, alla fine, tortellino sempre è e sa di festa su qualunque tavola.
La felicità si conquista, un passo dopo l’altro. Richiede dedizione, pazienza, tanto ascolto, di se stessi e degli altri. Inside Out ci ha insegnato che la felicità è una dolce ragazzina energica e un po’ petulante, dagli occhioni luccicanti e i capelli blu. Ma nemmeno questo ci aiuta ad insegnarla ai ragazzi che si affacciano alla vita. La felicità è inconsistente, è eterea, eppure ha un peso enorme e può spostare le montagne e le masse. Ma qual’è la via per trovarla? Faticano spesso gli adulti a trovarla, figuriamoci chi manca degli strumenti, chi non l’ha mai veramente assaporata e non sa quindi bene cosa sta cercando, finendo per accontentarsi di surrogati mediocri, annegati in tanto zucchero per coprire l’assenza reale di sapore.
Come faccio a spiegare a mio figlio cos’è la felicità, quando per me la felicità è fatta di dettagli e particolari che sono sicuramente diversi da quelli che fanno la sua felicità. A me piace il giallo, a lui il nero: se io immagino la felicità la configuro sicuramente colorata come un arcobaleno e inondata di fiori…a lui verrebbe il vomito solo all’idea. E certo, posso immaginare che per lui sia un pulsare rosso e nero, con un ritmo incalzante, un volume alto, che frastorna orecchie e cervello, ma come raggiungere quell’immagine paradisiaca non so spiegarglielo. Posso dargli degli strumenti per ascoltarsi e comprendersi, ma, caspita, conosco un sacco di adulti che non lo sanno fare, lo posso pretendere da un essere in evoluzione, ancora incompleto e informe?
Ma assistere alla sua ricerca spasmodica, inerme ad osservarlo, mi lascia spesso senza fiato. Mi verrebbe da urlargli contro, dirgli che ce l’ha lì, a portata di mano, e la sta evitando perché ha troppa fretta, troppa ansia, troppa rabbia, troppa confusione… Tutto troppo e la felicità si nutre invece del ‘poco’ e del ‘piano’. I tanti programmi di cucina dovrebbero averci educato a questo: poco nel piatto per ottenere un’esplosione di sapori. Non bisogna affogare il palato con quantità di cibo che impegnano fisicamente la nostra bocca senza lasciarle il tempo per assaporare tutto il gusto racchiuso in un piatto. Ma i giovani sono gli esseri del ‘tutto subito’. Senza attese, senza pause, senza respiro. Fare, correre, fagocitare, consumare e via da capo. Ma in tutto questo lo spazio per ‘sentire’ e trovare la felicità non c’è proprio fisicamente. E allora? Come faccio a spiegare a mio figlio che per essere felice deve avere meno e fare meno?
E’ molto più facile comprare al mercato nero la felicità ‘tarocca’.