Gentilezza e ruvidezza condividono le ultime quattro lettere ma non hanno nulla da spartire. Il confine tra l’una e l’altra è talvolta molto sottile e un passo troppo svelto o frettoloso lo travalica senza nemmeno accorgersene. Ma se facile è travalicare il confine, non significa che sia di poco peso l’impatto che ha il passo che va oltre.
In pieno mood estivo, la stanchezza generata dal lavoro e dalla sensazione di appicicaticcio che ci portiamo addosso dovuta al caldo, vorrei indire una campagna per salvare la gentilezza, comportamento a rischio di estinzione come il panda. Praticare gentilezza è un’arte ormai in disuso, non viene insegnata dagli adulti e molti giovani non ne conoscono nemmeno l’esistenza, non dico la quintessenza. Eppure basterebbe così poco. Un poco che fa però tanto.
Mi sono imbattuta in questa discussione giusto ieri sera con il mio diciottenne preferito. Bravo, bello e splendente nel suo essere un diciottenne pieno di energia, passione, ardore e fretta di raggiungere tutto subito. Sapete bene quanto lo ami e lo stimi, ma questo non mi assolve dal compito di madre che vuole educare alla vita, impartire insegnamenti che accrescano la sua competenza nelle relazioni, portare evidenze che servano da insegnamento e così l’ho bloccato a tradimento mentre portavamo giù il pattume. ‘Figlio, pretendo che mi tratti con maggiore gentilezza, nei modi e nelle parole.’ Silenzio per risposta, ma avevo la sua attenzione. Così ho cercato di spiegargli cosa intendevo. Essere gentili nei modi non è fare quello che ti chiedo, ma anticipare un bisogno senza necessità che io lo esprima. Intendiamoci, non pretendo un atto di immaginazione anche creativa per indovinare di cosa necessito, ma, se mi vedi con dieci piatti in mano da riporre nella credenza non deve esserci bisogno che ti chieda di aiutarmi perché insorga in te il pulsante desiderio di aprire la credenza e prendere una parte del peso dalle mie mani. Certo, ci ha messo lo zampino la sorte, facendoti trovare in cucina proprio nell’attimo in cui stavo svuotando la lavastoviglie…magari la prossima volta sarai più fortunato e non ti troverai a passare di lì nell’infausto momento. Gentilezza nei modi è spostare lo zaino che ingombra il corridoio mentre entro carica come uno sherpa e devo fare lo slalom tra scarpe e borse mollate alla rinfusa. Gentilezza nei modi è investire dieci secondi del tuo prezioso, anzi sacro, tempo per rispondere al messaggio in cui ti chiedo se il bonifico da fare è di 20 o 25 euro completando la risposta con un semplicissimo ‘grazie’ (l’emoticon del cuore o del bacio è un’opzione avanzata). Gentilezza nei modi è ricordarsi una ricorrenza a cui sai che altri tengono, mandare una foto ai nonni che faranno di quella il trofeo della stagione, sollevare le tue stanche membra, dal letto dove stai vegetando, per ripetere la risposta ad una domanda che ti arriva dalla parte opporta della casa e, indubbiamente a causa della sordità incipiente, non è stata sentita la prima volta. Gentilezza nei modi è lasciare un bacio ‘sospeso’ a cui si possa accedere al bisogno.
E questa era la parte facile, anche perché il mio diciottenne preferito di cui sopra, ha sposato da sempre l’etica scout e far attraversare i vecchietti agli incroci, aiutarli con le borse della spesa, indietreggiare nella fila per far spazio a chi può essere in difficoltà, ce l’ha ormai stampato nell’anima.
Gentilezza nelle parole è invece un capitolo arduo e difficile. Se quella nei modi è un essere in via di estinzione, quella nelle parole sembra appartenere al giurassico e se ne possono trovare alcuni fossili lungo il cammino. Gentilezza nelle parole, sempre ho cercato di spiegare a Pietro, è scegliere con attenzione quelle da usare. Evitare un commento che può ferire, o anche solo infastidire, se il solo scopo di esprimerlo è una personale risatina e godimento che non ha un reale beneficio per alcuno. Gentilezza nelle parole è evitare la derisione, perché è un terreno estremamente pericoloso: se innesca una rivalsa, la tenzone verbale potrebbe finire su argomenti molto poco gradevoli per entrambi. Gentilezza nelle parole è usarle per sostenere le persone, per supportarle, per incoraggiarle, per non farle sentire sole. Gentilezza nelle parole non è essere sdolcinati o ipocriti, ma selezionare con cura cosa dire e come dirlo, dopo aver valutato la situazione e l’opportunità di farlo: anche un parola frutto di un pensiero così attento può ferire, certo, ma ciò che la differenzierà dalla ruvidezza è il non essere frutto di mera cattiveria. Gentilezza nelle parole è completare le frasi con grazie, per favore, prego, scusa. Oh che difficoltà chiedere scusa, ma è un atto così carico di gentilezza.
Più che un dialogo è stato un lungo monologo, uscito come sempre in un soffio. Non privo di ripetizioni, pause, riprese, esempi, ma per me quanto mai necessario proprio nell’atto educativo di cui, come madre, mi faccio carico ogni giorno. Silenzio per risposta, ma un carico di riflessione in dote.