E così si conclude questa mia vacanza parigina, per me l’ottava visita a questa meravigliosa città, che sa sempre stupirmi e affascinarmi.
Sono stati tre giorni decisamente intensi, non mi sono risparmiata nulla e non ho voluto tralasciare nulla. Ho visitato cinque musei, rivisto le principali grandi bellezze della capitale francese, preso qualche taxi, ma solo lo stretto necessario, viaggiato in metro e in autobus, ma solo lo stretto necessario, per arrivare ad aver macinato 41 chilometri a piedi. Mi sono stupita davanti a tanta bellezza, ho scoperto dei capolavori che non conoscevo e che mi hanno lasciata a bocca aperta, ho sorriso davanti ad altri di cui ben ricordavo l’impressione che avevo avuto nelle visite precedenti, ho guardato con tenerezza la grande cattedrale ferita, ma pronta a riemergere dalle ceneri ancora più bella di prima, ho ammirato la Tour Eiffel e la sua maestosa leggerezza, ho salutato da lontano Montmartre e il Sacre Cour.
Non ho avuto crisi di panico, stati d’ansia, accessi di pianto e quando mi sentivo un po’ più sola del necessario accendevo la musica in cuffia e mi lasciavo trasportare dalle note di sottofondo. Ho ascoltato la mia playlist estiva, ma anche Jovanotti, i Maneskin, Regina Spektor, misti a caso e mi sono ritrovata spesso a battere il tempo con il piede e a canticchiare dentro di me parole sbagliate ma assonanti con quelle giuste. Ho sorriso alla gente, ho capito quasi tutto, ora in francese, ora in inglese e mi sono fatta capire quasi sempre, ora in inglese, ora in francese. Ho bevuto un Mojito buono, ma non eccelso, e uno spritz, discreto ma non sublime, che però ha raggiunto la perfezione grazie al panorama della Senna sotto e intorno a me. Ho mangiato le crepes, gli eclaire au chocolat, i macarons, i croissante ou beurre e un po’ di altra roba salata con cui mi sono nutrita (in modo quasi corretto), ma che non merita la menzione.
Ho parlato poco al telefono, giusto qualche telefonata principalmente ai ragazzi perché, seppure grandi, credo che sapere che la mamma li pensa ogni attimo ed è presente anche a distanza, sia di aiuto per la loro serenità (o almeno mi illudo che sia così – nel caso lasciatemi nell’illusione, a me piace sentirli ogni sera, anche solo per un bacio volante). Ho scritto tanto e fotografato di più. Ho voluto condividere con chi aveva voglia di seguirmi la bellezza di cui ero fortunata spettatrice. E’ stato un modo per sentirmi meno sola e far ridere le amiche.
Ho pensato, tanto, ma non troppo. Ho capito che si può fare, che posso farlo, che viaggiare da sola è alla mia portata, ma ho capito anche che non sarà mai la mia prima scelta. Oh certo, ho goduto della libertà di mangiare quando e cosa volevo, non ho dovuto mediare con nessuno, l’unico limite alle mie giornate è stata la mia resistenza fisica e mentale, che però ha dimostrato di avere un livello di tolleranza piuttosto alto. Ho potuto vedere tutto ciò che mi andava, per il solo fatto che mi andava. Non ho dovuto convincere nessuno, ma non ho nemmeno potuto convincere nessuno che quel museo fosse imperdibile, che quel locale fosse fighissimo e che non si può stare a Parigi senza gustare almeno una crepe. Non cambierei la libertà di cui ho goduto per accettare una compagnia che voglia semplicemente accontentarmi o non lasciarmi sola, ma voglio (fortissimamente vorrei) una compagnia che desideri come me scoprire il mondo e la sua bellezza, non troppo legata ai ‘si può/non si può’, che abbia voglia di godere di attimi di felicità per il solo gusto di sentirsi vivi. Certo è che questa esperienza mi ha insegnato che viaggiare è per me più vitale di tanto altro e non intendo rinunciarci per paura o solitudine.
Torno rigenerata nella mente, ho visto cose che stimolano la mia creatività, mi sono immersa, quasi per caso, in esperienze dove il colore era protagonista e questo mi ha resa felice. Torno con i piedi stanchi e la voglia di vicinanza a chi mi vuole bene. Torno con la chiara idea che il mondo mi aspetta e io voglio scoprirlo un pezzo dopo l’altro.