Sì, lo so, ‘dopolavoristi’ non esiste, ma è il modo in cui chiamo noi che facciamo teatro alla sera, dopo una giornata di lavoro, ma a cui piacciono le ‘cose fatte bene’. A chi mi chiede perché faccio teatro rispondo sempre che il pilates non fa per me e in qualche modo è assolutamente vero. Trovare per il proprio tempo libero qualcosa che ci dia energia, la ritengo una cosa fondamentale… direi vitale.
Fare teatro amatoriale significa trovarsi alla sera dopo cena, lavorare per tre ore con l’obiettivo di mettere in piedi uno spettacolo che un centinaio (o, se si è fortunati, qualcosa in più) di persone vedranno e ‘giudicheranno’. E il verbo ‘lavorare’ credo che ben rappresenti l’impegno che il teatro richiede: studio, memoria, interpretazione, concentrazione, immaginazione, organizzazione… e potrei continuare nell’elenco che i miei compagni e amici teatranti ben conoscono. Eppure, essere lì, anche quando si è stanchi, è una sensazione bellissima ed essere sul palco quando c’è il pubblico è una sensazione inebriante.
Questa volta sono stata ‘dall’altra parte’: ero alla regia, un po’ il timone di una barca su cui si trova il cast e che deve arrivare a terra. Ho guidato un gruppo di nove persone, la maggior parte già amiche e quelle che non lo erano lo sono diventate, per poco più di quattro mesi. Abbiamo schivato (letteralmente) il Covid, ci siamo supportati nei momenti critici, ci siamo stretti intorno a chi aveva bisogno di volta in volta, ci siamo abbracciati (sì, lo abbiamo fatto!) perché la vicinanza era necessaria per avere l’energia giusta, ci siamo confrontati sul testo, sui personaggi, sulla scena. Ciascuno ha fatto la propria parte, contribuendo ogni volta ad aggiungere un pezzetto: il mio compito era tenere la direzione, l’obiettivo sempre chiaro e la carica sempre alta. E ci siamo riusciti. Essere su quel palco (anche se io li potevo guardare solo dall’alto ero lì con loro in ogni istante) ha significato suggellare un incontro, un’esperienza, un’emozione e questo il pubblico lo ha sentito. Perché già è tanto, quando di hobby si tratta, fare le cose fatte bene, ma farle con il cuore è un’altra storia.
Abbiamo concluso la seconda replica ringraziandoci reciprocamente per quello che ci eravamo dati. Non una recriminazione, non uno sbuffo, non un ‘si poteva fare meglio’, tutti consapevoli di aver dato il massimo e felici che quello che avevamo in testa fosse arrivato al pubblico in sala.
Per questo…
Il teatro è quella dimensione dove dimentichi quanti anni hai, che lavoro fai, la litigata con il figlio, con la moglie, la multa da pagare, il dentista il giorno dopo, la visita medica che non vorresti, il cliente stronzo, la sveglia alle cinque, la fame, la dieta, il fidanzato che non chiama, il quattro in latino, gli studenti che non studiano, ma anche quelli che ti hanno stupito al mattino, la tua ambizione di crescere o la paura di invecchiare, le forme che non ci piacciono e le frasi infelici.
Il teatro è quell’incontro settimanale dove entri un po’ curvo ed esci volando, anche con il sonno addosso e i chilometri da fare per rientrare a casa.
Il teatro è quell’assembramento (!) di umanità variegata dove non ti senti mai fuori posto.
Il teatro è quell’esperienza talmente immersiva che quando la racconti a chi non la conosce pensano tu sia andato ad una seduta di psicoterapia allargata e non capiscono perché dovrebbero venire a vedere un outing di gruppo… ma si fidano di te e quando il sipario si apre… si aprono anche i loro occhi.
Il teatro è quell’ambiente in cui ‘merda’ non è una parolaccia, ma l’augurio che ci si scambia aggiungendo ‘e’ ed ‘a’ a dismisura.
Il teatro è quell’impegno per cui vieni presa per matta, perché devi studiare tanto e ti trucchi magari da anziana signora con la crocchia, il rosario in tasca e le scarpe per le nocche deformate dall’artrite.
Il teatro è quel luogo dove ti senti a casa, incontri gli amici a cui non devi spiegare nulla perché sai che comprendono esattamente quello che provi, prima di salire sul palco, quando hai un buco in scena, quando il pubblico non ride o magari ride quando non te lo aspettavi, quando alla fine le persone sorridono e si complimentano.
Questo è il teatro in cui io credo ed è il teatro di cui io voglio fare parte.
Perché la verità è che… generare felicità dà assuefazione.
Grande Lory! Che passione in questo racconto!!!