E’ iniziata così. ‘Io penso positivo, perché son vivo, finché son vivo’ ancora nelle orecchie e mi sono ritrovata positiva io. Sì, lo so, Jovanotti ha urlato dal palco che dobbiamo riappropriarci di questa parola e ritrovare il suo significato originale…io mi sono persa nel farlo e me ne sono appropriata nel suo significato più mainstream (non vedevo l’ora di usare questa definizione ‘a cazzo’) aggiungendo un più uno alla lista dei positivi, prima, e guariti, poi, dalla pandemia del secolo. Sì, lo so, sento in sottofondo chi rumorosamente pensa che ‘me la sono andata a cercare’, perché ‘si sapeva’ che il Jova Beach Party era un luogo a rischio, un assembramento oltre il buonsenso e un’esperienza non indispensabile…ma ho scelto, quando ho comprato i biglietti e quando ho ballato sotto il sole per ore, quando ho cantato a squarciagola insieme a un’amica e salutate altre cento e sono contenta di averlo fatto. Infettarmi andando al supermercato o sull’autobus affollato mi avrebbe resa meno positiva solo nello spirito, ma non nel risultato.
Omicron 5, la variante che mi ha infettata. O almeno credo, diciamo che i sintomi erano quelli, pur nella difformità di manifestazione che ho sentito tra amici e conoscenti che, un po’ prima, un po’ dopo di me, ci sono passati. Febbre non altissima per qualche giorno, un mal di gola da schiantare e un po’ di tosse, che ancora mi porto dietro e che so mi farà compagnia ancora per qualche tempo. Il mal di gola è quello che più mi ha fatta faticare: mi sembrava di avere la gola in fiamme o piena di tagli che urlavano a ogni tentativo di deglutire…e il pensiero di mettere in bocca qualcosa di fresco mi faceva ancor più rabbrividire perché il contrasto con l’arsura della mia gola era doloroso al sol pensiero. Nulla di ché, intendiamoci, ma ho un po’ invidiato chi raccontava di forme asintomiatiche o pauci-sintomatiche…io se devo fare una cosa, cerco di farla con una certa dignità e impegno.
‘E’ come un’influenza’ ‘No, no, altro che influenza, il CoVid è peggio’ In mezzo tra le due posizioni più diffuse credo ci sia una verità da riconoscere e che, in qualche modo, le rende vere entrambe e allo stesso tempo. Nella forma in cui l’ho passato io, non voglio generalizzare proprio per la variabilità delle manifestazioni di cui si sente in giro, è stato, a tutti gli effetti, una grossa influenza sia per sintomatologia, che per durata. Poco più o poco meno. Ciò che però è comparso immediatamente, già prima del tampone con le due linee rosa a certificare la mia positività, è stato un sottile, ma infingardo, senso di paura. Paura generata da tutto ciò che in questi ultimi due anni abbiamo sentito più e più volte raccontare. Paura generata dalla conta quotidiana dei morti. Paura generata dalle statistiche che, seppure a me favorevoli per età e stato di salute, lasciano comunque sempre un piccolissimo margine di devianza dalla maggioranza…e la mia esperienza di vita mi ha insegnato che se la devianza c’è, c’è anche qualcuno che ne è rappresentante. Quando in passato ho avuto l’influenza, mai mi è passato per la testa il pensiero di un aggravamento improvviso e pure magari letale della malattia, questa volta sì. E non credo di essere una paurosa o una pessimista, ma la comunicazione a cui siamo espositi da inizio pandemia genera dei mostri, dai quali anche il cervello più fine e razionale fatica a stare alla larga. Poi, certo, giorno dopo giorno, quando i sintomi anziché aumentare sono andati in stallo per poi regredire, ecco che la paura ha concesso il passo alla serenità, per lasciare in eredità solo la sensazione di essere una sopravvissuta anch’io.
Sono stata in quarantena otto giorni complessivi. Otto giorni senza mettere il naso fuori casa, senza abbracciare e baciare i bimbi, senza incontrare le amiche, senza indossare scarpe e senza bere uno spritz! Non mi sono mai sentita sola, ma in gabbia un po’ sì. Sono fortunatamente circondata da persone splendide che non hanno smesso un secondo di farmi sentire la loro presenza: chiamando, scrivendo, portandomi cose necessarie e beni di conforto (e con conforto parlo di paste alla crema e gelato al cioccolato). Ciascuna a proprio modo mi ha regalato consigli, suggerimenti, esperienze che mi potessero servire in modo pratico o anche solo come consolazione e di ciascuna ho fatto tesoro. Non ho smesso di lavorare, anzi, testa bassa e avanti andare, con tutta la concentrazione che riuscivo a raccogliere ho cercato di non venire meno a consegne e impegni. Non ho smesso di sorridere. Non mi sentivo proprio in forma, ma lamentarmi mi appartiene poco, quanto lo stare ferma.
Questa forzata sospensione della vita ‘normale’ ha fatto saltare qualche progetto e, chi mi conosce, sa bene quanto i cambi di programma mi innervosiscano, ma fortunatamente la breve durata ne ha preservati altri e ho già il calendario in mano per riprogrammare quanto perso. Eppure, apprezzo il tempo trascorso e questa ‘bolla’, in cui mi sono trovata immersa, è stata occasione, ennesima, di riflessione. Dopo il viaggio a Parigi, ben più gradevole senza dubbio, la quarantena mi ha obbligata a mettere in fila i pensieri, a focalizzare alcuni punti e a far luce su quanto mi circonda. Ne esco rafforzata: ho ingoiato qualche rospo amaro, ho ricacciato qualche lacrima di troppo e ne ho finalmente versata qualcuna necessaria, ho riordinato qualche ricordo, ho alimentato qualche incazzo, ho scambiato nome alle emozioni ricollocandole sotto prospettive, se non nuove, almeno aggiornate, ho ridefinito alcune priorità e consolidato obiettivi e consapevolezze dai quali farmi guidare giorno dopo giorno.
Stamattina ho scritto ad una delle care amiche, che sono il mio tesoro prezioso e il dono più grande degli ultimi anni, ‘la tua amica è finalmente NEGATIVA’. E lei, donna di grande finezza e a cui mi lega un bene profondo, mi ha risposto ‘Questa me la salvo. Tu e ‘negativa’ nella stessa frase non è cosa da tutti i giorni’. E io ho sorriso. A lei e al mondo. Questa sono io e se questo è ciò che arriva a chi mi è più vicino ne sono veramente felice…e anche orgogliosa.
Positivamente vostra, Lory.