Ho atteso 365 giorni per scrivere questo articolo, 8760 ore necessarie a traghettarmi dalla fine dei 47 alla fine dei 48 anni, 525.600 minuti necessari a portarmi al primo passo nei prossimi 49. La densità dei giorni di questo mio quarantottesimo anno di vita è stata decisamente elevata, giorni dal peso specifico dell’osmio (che ho scoperto essere, seppure per poco, il materiale con il peso specifico maggiore esistente ed essere un metallo di transizione del gruppo del platino, quindi, mi immagino, prezioso per natura – come reputo la mia vita d’altra parte). Li ho vissuti intensamente, impegnandomi a guardare avanti e poco indietro, imparando a perdonarmi i cedimenti (quando ci sono stati), ma rimanendo intransigente sulla loro durata, che non poteva superare le ventiquattro ore e imparando, a forza, a non scusare ciò che scuse non ne ammette e a non accettare ciò che mi provoca del male in nome di una speranza mal riposta o di una comprensione non meritata. Sono rimasta senza fiato troppe volte, ho dato margine all’asma di farsi sentire in qualche occasione in eccesso, ho pianto, ho urlato, ho permesso che mi sottraessero le parole, incapace di articolare pensieri sensati davanti all’insensatezza che mi si parava davanti, ma, nonostante tutto, ho ritrovato sempre il sorriso e ho riso, riso tanto e ho amato, amato tanto: i miei figli, le amiche, gli amici, le persone che ho incrociato e che hanno aggiunto alla mia vita senza chiedere nulla in cambio. Ci sono gli anni in cui ci si ferma per rinascere e questo per me lo è stato e, dopo 365 giorni, dopo aver fatto un giro completo di calendario e trovarmi al punto di partenza più leggera, spensierata e sorridente, posso dire di essere felice.
Ecco, per il mio quarantanovesimo anno di vita mi auguro di faticare un po’ meno e che il sorriso sia più a portata di labbra; mi auguro di non perdere mai di attenzione verso le persone che amo, mantenendo consistente sempre la mia presenza e di continuare a provare questa meravigliosa sensazione di non essere mai sola anche nel silenzio della notte; mi auguro di condividere sempre più le mie passioni, che vissute insieme costruiscono un tesoro di ricordi al quale ritornare ogni volta che mancano le energie; mi auguro di avere pazienza, ogni giorno e tutti i giorni in cui è necessario e opportuno e non farmi spingere dalla fretta, che è una pessima compagna oltre che una pessima consigliera; mi auguro di ridere, a crepapelle, rumorosamente e magari anche con le lacrime agli occhi come piace a me; mi auguro di incrociare la vita con persone che siano un valore aggiunto e che abbiano voglia di mettersi in gioco con onestà e costanza; mi auguro di saper affiancare i miei meravigliosi figli nei loro passi, con la giusta distanza da lasciarli liberi, ma mai soli; mi auguro di realizzare almeno una parte dei numerosi progetti che ho già accumulato per i prossimi dodici mesi e di aggiungerne altri; mi auguro di saper scegliere, consapevole di ciò che prendo e di ciò che tralascio, senza rimpianti, ma con l’entusiasmo dei nuovi inizi e la libertà della scelta; mi auguro di poter dire grazie, tutte le volte in cui il riconoscimento è necessario e di voler dire grazie, tutte le volte in cui sentirò il sapore della gioia; mi auguro di aggiungere un tassello o molti tasselli al mio progetto di essere sfacciatamente felice, perché in questi 365 giorni trascorsi ho realizzato che felice lo sono, nonostante e comunque, grazie a tutto quello e tutti quelli che fanno parte della mia vita, ma, incontentabile per natura, voglio lo ‘sfacciatamente’, quel sorriso beato e incontenibile che illumina il mondo; mi auguro di coltivare esperienza e raccogliere soddisfazioni professionali, con impegno e dedizione, ma soprattutto con il desiderio di fare le cose fatte bene; mi auguro di vedere più mondo possibile, da sola o in compagnia (giacché nei 48 ho messo la spunta anche al viaggiare da sola), perché alzando gli occhi da dove poggiano i miei piedi quotidianamente mi si allarga il cuore e mi innamoro della vita un po’ di più; mi auguro di prendermi un po’ più cura di me e del mio corpo, che ogni tanto bistratto e si lamenta, imparando a dedicare qualche secondo dell’esistenza anche a quello; mi auguro di non dover dire troppi ‘fanculo’, ma di saperli dire al momento opportuno, non un attimo dopo.
Oggi, come tutti gli anni, ho ricevuto e sto ricevendo tanti auguri. Persone con cui condivido l’intimità delle mie giornate, ma anche persone che ho incontrato sulla strada del lavoro, del teatro, della scuola, della vita e questo mi fa pensare che quello che arriva di me agli altri è una cosa positiva, forse l’energia, forse la solarità, forse i miei colori, forse le tante parole, forse per ciascuno una cosa diversa, ma comunque qualcosa di sufficiente a meritare l’attenzione anche solo di un minuto e tutto questo mi rende fiera di essere me stessa e mi regala un sorriso carico di speranza per il futuro.