La lingua italiana è meravigliosa e forse proprio per questo mi appassiona scrivere.
L’altra sera stavo cercando di spiegare quale fosse il colore fucsia a due maschi (no, non i miei figli, questa volta non c’entrano e, ahimé, di esseri adulti ma privi di conoscenza – del fucsia appunto – si trattava), che hanno gettato le armi piuttosto in fretta raggruppando tutte le tinte che vagamente si assomigliano sotto la generica denominazione di ‘rosa’, declinato in ‘rosino’ e ‘rosetto’ (ho aggiunto io), lasciando nell’oblio le varianti cipria, rosa antico, rosa polvere, rosa baby, magenta, fucsia (appunto), ma soprattutto gettando nel calderone tutti i lilla, pervinca, glicine, che al massimo possono aspirare ad un generico ‘viola’. Oh my God!
Evidentemente però il destino mi ha offerto una seconda opportunità e oggi in una conversazione, sempre un po’ ai limiti del surreale, mia madre, sempre un po’ ai limiti del reale, mi ha descritto i suoi sandali neri…comodi, proprio belli…di zucchero. Sì, proprio di zucchero. Mi ha lasciata di stucco. Dovete sapere che l’uso di una parola per un’altra è ormai abitudine delle nostre conversazioni, ma in questo caso la sostituzione ha il valore di una meravigliosa sinestesia, dove la dolcezza dello zucchero che sazia di piacere i nostri sensi si trasferisce alla pantofola, che mi è stato immediatamente chiaro avvolge con altrettanta dolcezza il suo piede comportando una benefica sensazione di piacere. E così la pantofola di zucchero mi ha regalato un frammento di poesia che mi ha fatta sorridere. Yes, my God.