Quando sono sotto pressione il mio occhio destro va a ramengo. Nel senso letterale della parola, sfugge, si allontana dalla direzione in cui dovrebbe guardare e scivola via. E leggere diventa faticoso. Se chiudo l’occhio sinistro, proprio mi accorgo che nulla è più nitido e anche quando lavorano insieme è tutto più sfocato. E’ il modo che il mio corpo ha per ricordarmi di respirare e che non posso tenere tutto sotto controllo. Nè la quotidianità, né le emozioni. E’ il modo per ricordarmi che anche quello che si dà per scontato, così scontato non lo è e la normalità è ben più preziosa di quanto ci immaginiamo.
Mi è successo la prima volta qualche anno fa. In realtà già da bambina soffrivo di questa forma di strabismo di venere (un difetto così adulatorio da portarlo con grazia) che ad un primo sguardo nessuno notava, ma che io ritrovavo in qualche foto. Quelle in cui ero in posa, non quelle frutto di un click al volo dove tutta la vitalità della mia faccia impediva di fissare gli occhi in una singola posizione. Poi me ne sono dimenticata. E poi è ritornato qualche anno fa. Me ne sono accorta perché ho iniziato a sentire tirare l’occhio destro: lo sentivo quasi fosse un muscolo che soffriva dopo uno sforzo. Mi sono anche preoccupata e sono corsa dalla dottoressa, che non ha potuto fare altro che ricordarmi che la divergenza è una condizione innata nei miei occhi. Voglio guardare di più, più in là, in contemporanea, oltre i limiti. E così, una volta dopo l’altra, ho capito che quel fastidio sarebbe ricomparso ogni volta che la vita mi avesse messo alla prova…prova piccola o grande che fosse. E ho capito che non potevo lavorare sul problema, ma solo sulla causa, per stare meglio. Certo, ho imparato che posso compensare con gli occhiali da lettura, ma il mio occhio destro è lì a ricordarmi la fatica che faccio, ma anche la forza che ci metto.
Stamattina ha deciso di farsi sentire. Credo che il mio occhio destro vorrebbe guardare verso il mare e per questo sfugge all’ordine, vuole sognare o forse scappare, ma nessuna delle due condizioni mi è propria e così lo riconduco al suo posto per ritrovare il fuoco nello sguardo . Ma ritengo assolutamente bello che il mio corpo trovi comunque il modo di ricordarmi la mia fallibilità e la mia fragilità, trovi il modo per obbligarmi a una pausa e a una riflessione in più, a una carezza verso me stessa e a una distrazione necessaria. Certe volte, affannata nel risolvere, gestire, affrontare e anche semplicemente vivere, trascuro il diritto di soffrire (un po’) che ciascuno di noi ha. Un diritto che non significa crogiolarsi nel proprio malessere, malumore o difficoltà, ma che significa poter dire che una cosa fa male, anche se lo si dice con il sorriso e anche se si è già armati e bardati per affrontarla e risolverla.
Credo che oggi, sull’impulso del mio occhio destro, lascerò scorrere un po’ di quella sofferenza e permetterò alle parole di assecondarla. Un ti amo non detto, un fanculo trattenuto, un ti voglio bene necessario, quello che verrà a fior di labbra, ma che comunque non mi toglierà il sorriso anche se sarà un po’ più sfocato del solito.
Ma che bel testo ! ( come sempre) . Questo è discreto ma diretto . Un abbraccio Lory 🎈