E sono a 51. Buon compleanno a me.
Bilancio di questo 50esimo anno? (Me l’ha chiesto un’amica oggi poco dopo gli auguri). Anno pesante, arricchito da tante consapevolezze, punto di partenza per un modo di stare al mondo sempre migliore.
Sarà il mio mantra dell’anno.
Sarà che negli ultimi mesi, guardandomi allo specchio, ho visto come il mio corpo abbia accusato tutta la fatica degli ultimi dodici mesi, mostrandomela con maggiore evidenza di quanto ce l’abbia io in mente. Difficilmente abbasso la testa e meno che mai lo sguardo, così affronto la vita, le fatiche e i dolori continuando a puntare avanti, senza fermarmi e cercando di non tralasciare mai un sorriso per gli altri, ma soprattutto per me stessa. Non ho ambizioni da martire, né ansia di protagonismo (per quanto il mio animo leonino ami essere in primo piano e sempre ben illuminato), ma è semplicemnete il mio modo di vivere. Andare avanti. Salire, fermarsi, riprendere fiato il necessario, godere del panorama quanto basta, poi ricominciare la salita. Non credo nelle discese nella vita, solo faticando e continuando a salire si può apprendere, crescere, migliorarsi e correggersi. Gli spazi in piano che ci accolgono tra una salita e l’altra sono solo momenti necessari per godere della bellezza del punto raggiunto, recuperare forze ed energie e farsi pervadere nuovamente dall’anelito ad andare avanti. Così, in questo costante camminare, spesso non mi dò il tempo di elaborare, o meglio, me lo dò in itinere, camminando, procedendo. E così la fatica la affronto meglio, vedendo nuovi obiettivi aprirsi al mio orizzonte, ma il mio corpo quella fatica la subisce e così porta i segni della pesantezza.
Dodici mesi che hanno tracciato dei prima e dei dopo.
Prima non avevo mai sorvolato l’oceano e non avevo messo piede negli States. In questi dodici mesi c’è stata la mia prima volta a New York, a scoprire che il senso della misura non appartiene agli americani, che ci sono città che sono ancora più belle viste dall’alto e non ti stancheresti mai di stare a guardarle per scoprirne ogni dettaglio, che il banana pudding è una droga legalizzata, che in Europa abbiamo i musei più belli del mondo, che gli americani hanno un evidente problema di articolazione quando parlano e le parole vengono malamente masticate prima di essere emesse, che ci sono salse misteriose che rendono gli hamburger buonissimi e che non vorresti assolutamente sapere cosa contengono.
Prima non sapevo che non ci sarebbero stati più compleanni da festeggiare con la mamma e che proprio attraverso l’esperienza della morte così prossima avrei colto con maggiore chiarezza il valore della vita e della sua essenza. Prima sapevo che gli auguri sarebbero potuti arrivare prima o dopo, ma difficilmente il giorno giusto e sapevo che non sarebbero necessariamente stati gioiosi o di festa perché i fattori esterni avrebbero potuto giocare a mio sfavore. Oggi sapevo che gli auguri non mi sarebbero arrivati, ma sapevo che lei mi guardava da lassù e mi sorrideva. Leggera. E mi è bastato per sorridere a mia volta.
Prima non sapevo che ci sono cose che so fare bene o anche benissimo, ma che, semplicemente, posso non aver voglia di fare.
Prima non sapevo che Edimburgo non c’entrava nulla con la sfortuna che negli anni precedenti ci aveva impedito di visitarla, era solo sfortuna ed era solo il momento sbagliato.
Prima non sapevo che l’entuasiasmo, l’energia e una concomitanza di eventi esterni possono essere sufficienti per mettere in piedi progetti meravigliosi in poche ore. Poi c’è tanto lavoro da fare, ma quella scintilla iniziale ha un qualcosa di magico e di straordinario.
Prima non sapevo che un jeans baggie può diventare interessante se correttamente abbinato.
Prima non sapevo che il verde potrebbe essere adesso il mio colore preferito.
Prima non sapevo quanta fatica si fa a rifare la maturità, osservando a distanza un figlio che la affronta. Ma non sapevo nemmeno quanto la sua gioia possa essere travolgente e ti ritrovi a scrivere a mezzo mondo che il maturando è maturato o che la maturità è finita o che l’esame è passato o qualsiasi altra formula di cui ti vergogneresti in ogni altro contesto, ma che ti sembra la notizia più bella del secolo per chiunque ti abbia affiancata nei giorni del lungo esame.
Prima non sapevo che ogni volta che penso di aver messo un limite, Thomas riesce ad andare oltre. Magari solo a sbirciare al di là o magari proprio a metterci un piede, ma lui ci riesce sempre e così bisogna riprendere i paletti, riassestarli, ripensarli e convincersi che andrà comunque tutto bene. E quando lo guardo lo penso veramente, poi il pensiero fugge e ho paura, ma poi respiro e vado avanti.
Insomma mesi di consapevolezze nuove o vecchie un po’ raffinate, che mi porto nel prossimo anno, con la convinzione che l’unico punto di partenza posso essere io e per questo devo rispettarmi, ascoltarmi, usarmi il necessario, prendermi cura di me stessa e del mio corpo e occuparmi della mia felicità… perché cercare di essere felici non è un atto egoistico, ma necessario, per sé e per chi ci sta intorno.
HB to me. Avanti tutta.