Non smetto mai di parlare.

Un momento di riflessione

Questa mattina, rientrando dalla mia passeggiata abituale, ho visto la porta della Chiesa aperta e sono entrata. Non entravo, ammetto, da parecchio tempo, persa nella mia pigrizia e nella mia Fede poco praticata, seppure solida nelle intenzioni, sommersa dalle cose da fare e immersa nei miei pensieri. C’era un bellissimo Bambin Gesù davanti all’altare, adornato di meravigliose stelle di natale di un rosso brillante. C’era un tripudio tale di stelle di natale in Chiesa che mi sono domandata come facessero ad essere così belle e rigogliose, pensando alla durata effimera di una qualunque piantina che entra in casa mia. Una foglia caduta a terra, immagino durante la notte, era l’unico segno evidente dell’imperfezione della realtà e di ciò che è vivo, rispetto alla perfezione, seppur fittizia, di ciò che è finto. Ho notato che davanti alla statua della Madonna i fiori erano bianchi, sempre curati nel loro disegno e nella loro composizione, ma, data la rarità delle stelle di natale bianche, ho apprezzato l’accortezza di differenziarne il colore, creando un angolo che, anche cromaticamente, spiccasse nel tripudio della festa.

Quando entro in una Chiesa, molto spesso da turista, finisco sempre per soffermarmi davanti agli altari dedicati alla Madonna ed è lì che, solitamente, accendo una candela e sciorino le mie preghiere. Da bambina sceglievo l’adorazione del Bambin Gesù, bello, roseo, un putto sempre sorridente, ma gli anni mi hanno pian piano avvicinata ad un sentire più materno ed è a Maria che istintivamente guardo e penso.

Stamattina mi sono avvicinata all’altare, in un’atmosfera silenziosa e di grande calma, e mi sono seduta al primo banco. Quello che non ha l’inginocchiatoio davanti e ti solleva dal dovere della genuflessione, ma anche quello che è sotto gli occhi del Sacerdote e non ammette sgarri nell’attenzione da dedicare alla Messa. L’altare però era vuoto e così sapevo di non avere doveri, né aspettative da soddisfare, non una ritualità convenuta e parole da ripetere a memoria, in una nenia rassicurante che rende comunità il gruppo dei fedeli che partecipano alla Messa. E in questo silenzio da fine feste ho pregato.

Ho imparato negli anni che ‘chiedere’ va bene, è legittimo, normale, umano, ma prima è importante ‘ringraziare’ e così ho fatto. Ho iniziato dalle cose più scontate e banali: grazie della salute, grazie dei miei meravigliosi figli, grazie delle amiche e degli amici, grazie della casa, grazie del benessere e poi ho continuato… Grazie della mia vita in generale, che riconosco come mia, a mia misura, cucita sulle mie forme e sui miei desideri: incasinata, ogni tanto proprio caotica, a volte troppo veloce per concedere il tempo di scalare la marcia, costringendomi a derapate da circuito ad alta velocità, chiassosa talvolta, ma colorata, sorprendente, caleidoscopica, mai perfetta, ma con la profonda aspirazione ad essere bellissima. Grazie del sorriso che sboccia sulle mie labbra e che riconosco nelle persone. Grazie della speranza che mi accompagna e dell’ironia che stempera. Grazie dello sguardo lucido che un po’ mi protegge dagli inciampi. Grazie della forza, della determinazione, del coraggio che mi impediscono di abbassare gli occhi, ma mi concedono di tenere sempre alta la testa e andare avanti o, quando necessario, ricominciare.

Dopo tutti i ringraziamenti ho guadato il Bambin Gesù, immobile, sorridente, in mezzo ai petali rossi e, nel silenzio della mia mente, con un po’ di presunzione lo ammetto, gli ho chiesto se ero stata abbastanza ‘brava’ nel ringraziare per poter avanzare qualche piccola (forse non troppo piccola, ad essere onesta) richiesta. Nel suo sorriso, immobile eppure vitale, ho voluto cogliere un cenno di assenso e ho aperto il cuore di nuovo.

Anche in questo caso sono partita dalle cose più semplici: proteggi i miei figli, proteggi la mia mamma, proteggi tutte le persone a me care…e magari dai uno sguardo anche a quelle che non mi sono poi così care…e in quella richiesta di protezione ho riassunto un po’ tutto: salute, gioia, soddisfazione e quello che chiunque desidera per coloro che ama profondamente. Soffermandomi a riflettere, spostando il pensiero da una persona a me cara all’altra, ho però capito che c’era una cosa più importante delle altre che volevo affidare alla preghiera in quel luogo sacro: togli loro la paura, fa che non ne siano schiavi o schiacciati sotto il suo peso. La paura di non essere abbastanza, di non essere scelti o di essere abbandonati, la paura di soffrire, la paura di sentire, la paura di essere troppo piccoli o troppo vecchi, la paura di non essere capaci o capaci abbastanza, la paura delle emozioni, la paura della felicità, la paura del fallimento, la paura di non piacere, la paura di perdere il lavoro, la paura di amare o di non essere amati, la paura di morire, la paura di ammalarsi, la paura di sbagliare, la paura di essere soli. Credo che la paura sia il peggior compagno di vita che si possa avere, quel malessere che troppo spesso inquina anche i momenti più belli e felici, proprio nella paura che finiscano o che nascondano altro non evidente alla luce del sole, quella sensazione che porta irrequietezza e insicurezza e rende ogni nostro passo più difficile e pesante. Ecco, a te che ci guardi da lontano, che custodisci il segreto delle nostre vite, affido la speranza che in questo anno la paura non sia così vicina o presente, ma si affacci solo occasionalmente e giusto per aiutarci a godere di quanto di bello c’è nel nostro presente.

Così ho concluso, sorridendo. Lui ha continuato a sorridere dal suo giaciglio fiorito, osservato a distanza dalla Madre, nel suo ruolo di protettrice, in un gesto di accudimento universale.

Oggi è andata così.

Buona fine delle feste a tutti.

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