Non smetto mai di parlare.

Istruzioni per l’uso

Chi non ci si è mai trovato in mezzo non può capire. Chi non si è mai trovato a dialogare con un anziano malato di demenza (di qualsivoglia forma) non ha idea di cosa significhi. E non è presunzione, non è la voglia di primeggiare in esperienza (quanto ne farei e ne avrei fatto a meno!) e competenza (tanta ne acquisisci, tanta è inutile un giorno dopo l’altro), è semplicemente un dato di fatto. E non sono i discorsi complicati o filosofici sul senso della vita che sfuggono, non è la costruzione di un artefatto complesso quanto un puzzle da 5000 pezzi raffigurante il mare in tempesta, ma sono le azioni quotidiane e i dialoghi comuni quelli che sfuggono al controllo.

Faccio un esempio. Sono settimane, per non dire mesi, che lotto con mia madre e i suoi occhiali. Mia madre, professoressa nel corpo e nello spirito, ha sempre portato gli occhiali. Quelli bifocali. Che significa che la parte superiore della lente permette di guardare da lontano compensando la miopia e la parte inferiore permette di guardare da vicino semplicemente abbassando lo sguardo. Ed è proprio lì il trucco di questo occhiale: non si abbassa la testa, ma solo gli occhi, così da avere quell’angolo giusto per intercettare la lente giusta al bisogno. Ahimé, quel che sembra semplice e consolidato da anni d’uso diventa un sentiero impervio da percorrere quando la mente divaga. Abbassare lo sguardo, non abbassare la testa, indossare l’occhiale correttamente sul naso e non in punta è diventata una sequenza di azioni troppo difficili da fare e ancor prima da comprendere. Così, dopo aver tentato con lenti di ingrandimento, una visita per assicurarmi che il tutto non fosse dovuto a un reale peggioramento della vista mi sono risolta questa estate a comprarle un paio di semplici occhiali da lettura, abbastanza grandi perché potessero assecondare il movimento dei suoi occhi e abbastanza belli perché potessero assecondare il suo gusto fino. ‘Perfetti, ci vedo benissimo.’ ‘Guarda mamma, hanno anche la cordicella così puoi tenerli al collo e li indossi quando vuoi leggere.’ ‘Benissimo. Come sei stata carina, ecco: tenerli al collo è proprio quello che volevo. Ci pensavo sai? Così non li perdo. Sì, sì ci vedo proprio bene.’ ‘Bene mamma, guarda ti ho portato due libri da leggere. Sono scritti abbastanza grande così fai anche meno fatica.’ ‘Belli, sì. Li leggo proprio bene. Ma sono da bambini?’ ‘No mamma (Pinocchio era nessuno in confronto a me), cioè sono anche da bambini, ma guarda io li ho letti e mi sono piaciuti moltissimo (questo è vero) e quindi ho pensato che anche tu potessi apprezzare due storie così poetiche e piacevoli.’ Ed ero convinta di aver fatto Bingo. Libri letti (sulla comprensione ci sarebbe da aprire un capitolo a parte), con entusiasmo e felicità. Ero convinta, dieci giorni fa, che il problema occhiali fosse archiviato. ‘Mamma hai letto il nuovo libro che ti ho portato?’ ‘Ecco, volevo proprio parlati di questo’ ‘Ti è piaciuto mamma?’- ecco la mia carica di entusiasmo. ‘No, è che non riesco a leggere perché mi hanno portato via gli occhiali.’ ‘Ma come mamma? Gli occhiali li hai appesi al collo. Anche adesso.’ ‘No, non questi, ma gli altri.’ ‘No mamma, gli altri li hanno solo messi nel cassetto del comodino, gliel’ho detto io perché tu non ti confonda con due paia di occhiali. Quelli sono occhiali per guardare lontano. Per leggere devi usare quelli che hai appeso al collo’. ‘Ma io con questi non ci vedo’. ‘Ma come mamma, hai letto i due libri che ti ho portato la volta scorsa. E li leggevi bene, come è possibile che adesso tu non ci riesca?’ ‘Ah ma comunque il libro l’ho iniziato. Gli occhi mi facevano malissimo, ma l’ho iniziato. Ma non capisco perché non ci vedo. Mi hanno portato via gli occhiali.’ ‘Mamma, non ti hanno portato via nulla (nemmeno la memoria, che se ne è andata trascinata dalla corrente). Gli occhiali con cui devi leggere sono quelli che hai lì con te. Puoi usare quelli per leggere, mangiare, giocare a tombola.’ ‘Ah, ecco. Perché gli altri servono solo per le cose piccole?’ ‘No mamma, gli altri servono solo per le cose lontane, ma tu da lontano ci vedi abbastanza bene, quindi puoi non usarli.’ (mannaggia a me e alla mia precisione) ‘Quando vieni ti faccio vedere perché forse sono io che non li uso bene. Perché faccio proprio fatica a leggere.’ ‘Mamma a sei sicura di aver usato quelli e non gli altri? Sono alcuni giorni che ti vedo che li indossi entrambi e magari ti sei confusa nell’usarli.’ ‘No, ho capito. Questi li uso sempre, mentre per leggere metto gli altri’. ‘No mamma, ti prego, quelli che hai appeso al collo mamma, quelli sono giusti per leggere.’ Non più di dieci giorni sono trascorsi. Il problema è lo stesso e la soluzione che sembrava funzionare è saltata di nuovo. Inventarsi qualcosa di diverso, indispensabile quanto difficile. La videochiamata sugli occhiali si è conclusa con me che fuggivo, anticipando un impegno che mi avrebbe lasciato ancora alcuni minuti, impossibilitata ad arrivarci in fondo, con il tutto ancora più complesso per la distanza che impedisce di prendere oggetti, farli provare, sostituirne altri, ma tutto deve essere raccontato e spiegato e tra ‘quelli’ e ‘quegli altri’ diventa un intricato bosco di parole che si perdono lungo la strada.Poi ci si accontenta. Va bene anche una settimana quando qualcosa funziona, talvolta anche solo un giorno, ma quando si ricomincia la voglia di fuggire è enorme, per stanchezza, avvilimento, incredulità davanti all’insormontabilità di una cosa semplice e banale che diventa assolutamente complessa.

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