Non smetto mai di parlare.

No, non ho freddo.

Ciao mamma, hai visto? Sono proprio qui. No non ho freddo, stai tranquilla, sono abbastanza coperta per non sentire il freddo che c’è fuori. Quello che mi sale dentro è più forte e non c’è cappotto che tenga, fortuna che c’è questo vetro che ci separa e appanna tutto. Non il dolore, quello pulsa forte, ma rimando ad altro momento il farci i conti. Adesso sono qui e questo è l’importante. Un importante inutile, ma comunque importante. No, ho sbagliato, non è inutile, è la rabbia che parla. E’ pur sempre un esserci, siamo una davanti all’altra, con un vetro in mezzo che delimita i nostri mondi e ci costringe a parlare attraverso il telefono. Non mi capisci, eh mamma, ma come potresti? Che sforzo viene chiesto alla tua mente, capire che io sono qui e tu non mi senti se non attraverso un altro mezzo ancora. Ma allora dove sono? Non lo so mamma nemmeno io in realtà, anche se so che sono qui, in piedi, in cima a una scala, in mezzo al nulla, davanti a una porta finestra irrimediabilmente chiusa. Tu dentro, io fuori. No mamma, non ho freddo. Te lo assicuro. Vedi che ho anche il cappello? Anzi facciamo che me lo tolgo e abbasso anche la mascherina così puoi vedere i miei occhi, il mio viso, il mio sorriso. Confido nel vetro perché faccia da filtro e nasconda il subbuglio che c’è dentro di me, perché appanni lo strazio che provo a guardarti a distanza senza poter fare nulla se non continuare a sorridere. Come dici? No mamma, non posso entrare, ma non ho freddo, ti prego non ti preoccupare. Sto bene. Non è il freddo il problema. Fatico a riconoscere le tue forme, sempre più ridotte, contratte, alterate; ho perso l’abitudine al contatto con te, con il tuo corpo, con le tue mani; ho perso la confidenza con gli spigoli delle tue articolazioni, con la tua pelle, con il tuo odore. Eppure mi sembra di sentire tutto sulle mani, mi basta guardarti per sentire gli avvallamenti delle tue ossa, la curvatura della tua schiena, gli zigomi che spuntano, le guance infossate, la mano stretta nel pugno. Sento sotto le dita la fragilità del tuo involucro un centimetro dopo l’altro. Così fragile, ma così resiliente. No mamma non ho freddo, le mie mani sono calde. Guarda, vedi? Sono calde. Mamma non ti preoccupare. Torno. Come dici? Che non ci vediamo più? No mamma torno, te lo assicuro e ci rivediamo e passerà. Passerà tutto. E ritorneranno gli abbracci, le carezze e se saremo fortunate anche qualche risata. Cerca di resistere, l’inverno finisce e la primavera arriva.

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