‘Sai cosa faccio tutte le mattine quando mi sveglio?’ ‘Non lo so, dimmi mamma’ ‘Appena mi sveglio prego Nostro Signore che mi faccia morire. Tutte le mattine. Prego e prego e prego’. ‘Bene mamma’ ‘Ah sì, lo faccio tutte le mattine’ ‘Bene mamma. Così quando morirai, saprò che è stato esaudito il tuo desiderio.’ ‘Ma sai quanti anni mi restano? Due o tre al massimo.’ ‘Come fai a dirlo mamma?’ ‘Ma tu sai quanti anni ho? Ho 86 anni.’ ‘Sì, lo so, mamma’ ‘Anzi, no, che cosa dico. Ne ho 96’ ‘No mamma, ne hai 86.’ ‘Ma sai che nella mia camera tutti hanno cento anni?’ ‘Eh, bene mamma. Ma pensa che se arrivi a cento anni, di anni da vivere ne hai ancora quattordici’. ‘Ah ma anche quell’altra che ha 104 anni mi dice che è stanca. E io le dico di pregare forte tutte le mattine di morire’.
Una volta, alcuni anni fa, un medico mi disse ‘Per la tempra che ha il fisico di sua madre può superare tranquillamente i novanta’ Ne fui terrorizzata. Crudelmente terrorizzata. Razionalmente terrorizzata.
‘Comunque, quello spettacolo che mi hai fatto vedere, era un vero schifo’ ‘Ma come mamma, non ti è piaciuto?’ ‘Ah no, mi hai proprio presa in giro’ ‘Mamma mi dispiace, credevo di fare una cosa fatta bene, ma capisco che ho sbagliato’ ‘Ah io non ho capito niente. Non c’era una storia, non si capivano le parole, ma proprio uno schifo. Comunque c’erano tre o quattro persone in tutto, quindi poco male.’ ‘Gli attori proprio bravi, un vero peccato che il testo facesse così schifo. Poi tu sei andata via e non abbiamo potuto dire nulla, sei sparita.’ ‘Mamma io stavo facendo le prove e dovevo sistemare delle altre cose. Poi pensavo che ti fosse piaciuto.’ ‘Ah no no, un vero schifo’. ‘Uno schifo, ho capito mamma.’
Uno schifo la mente che sfugge, che traballa, che si aggroviglia su se stessa. Uno schifo la mente che annebbia il presente e lucida il passato in un miscuglio infernale che obbliga a riscrivere storie, immaginare vite non vissute e inventare parole per narrare racconti di autori ignoti.
Sfuggo, cerco di tenere le distanze, la pazienza traballa, come la mente, quella sua, la pazienza, mia. Mi sembra di aver esaurito la capacità di inventare, di sorridere a caso, di dire parole accomodanti, avvolgenti, consolatorie. Sono secche le parole che mi escono, stridono con il sorriso che le accompagna. Poi riprovo, modero, ammorbidisco, ricomincio. Cancello il pensiero e allontano ogni cosa dalla mia pelle, immagino di interpretare una parte e cerco di tenere lontana la mente dal cuore. Non ero io a prenderla in giro, non ero io a non esserci, non ero io a non essere abbastanza. Abbastanza presente, abbastanza attenta, abbastanza comprensiva. Non ero io la madre, ma nemmeno la figlia. Parla di passati di verdure e perché nulla entri più del dovuto penso a dove si collocano nella mia dieta i passati: a pranzo? A cena? Ma anche quelli con le patate? Ma anche il cibo fa schifo. Schifo, quella parola che ho cercato di estirpare dalla bocca di Thomas bambino, che non si accontentava di dire che non gli piaceva, ma doveva urlare che faceva schifo. Quante volte me lo avrà ripetuto in una videochiamata di quarantacinque minuti? Più di venti? Meno di trenta volte? Comunque troppe. Ho la nausea dello schifo. E poi ritorna lo spettacolo e allora fuggo ancora più lontano. E poi vuole una cena a due, lei ed io, da sole. E mi auguro che nel mio sguardo non si intravveda la paura e il tormento. Cosa ci diciamo per due ore, mamma? Sarò capace di sfuggire per così tanto? Sì, il fritto misto, certo è buono. Ma il fritto misto nella mia dieta dove lo metto? Devo usare il pasto libero? Fuggo, lontano.
Mi detesto. Non sono abbastanza. Lo so, dentro e fuori di me. Ammetto la mia fallibilità e accetto il mio giudizio. Quello degli altri non mi interessa, ciò che faccio e che non faccio è solo per lei, poi per me. Sono quasi cinque anni, se me lo avessero detto non ci avrei creduto, sarei fuggita alla sola idea, ma la mia voglia di fuggire va d’accordo con i condizionali, quei verbi a cui riservo tutto ciò che so non farò mai. Come diventare la regina d’Inghilterra.