Non smetto mai di parlare.

Passaggio di grado

Questa volta non è una porta a vetri a tenermi a distanza, ma ti ho proprio dovuto salutare sulla porta e allontanarmi in cerca d’aria. Avrei voluto attendere con te e quando hai guardato chi ci invitava a separarci e gli hai detto ‘anche se sono minorenne non può restare?’ ho capito che pesava a te quanto a me.
E adesso attendo. Aspetto e mi preparo ad accogliere il tuo sorriso o il tuo pianto, la tua gioia o la tua rabbia che seguiranno a un successo o a una sconfitta, fanno parte della vita e contribuiranno a farti crescere di un pezzetto ancora, a rendere le maniche della giacca un po’ più corte perchè la taglia dell’uomo che sei è in crescita.

Si cresce nella lontananza, quando non è una lontananza di sentimenti ma solamente una distanza fisica neppure scelta, ma imposta. Si cresce sapendosi vicinissimi anche senza vedersi e sentirsi. Si cresce consapevoli che saremo sempre insieme, pur essendo due esseri indipendenti e autonomi ma per sempre legati.
Cerco ogni giorno di fare in modo che quel legame non sia catena per te, ma solo supporto al bisogno e ricchezza per il tuo cuore.

Sei arrivato a questo esame con la consapevolezza di aver fatto del tuo meglio possibile nelle ultime tre settimane, ma anche con la consapevolezza, meno onorevole forse, di non aver fatto ciò che avresti potuto e dovuto i mesi prima. La tua ammissione, insieme alla tua paura, mi hanno fatta sorridere e resa serena che, in qualunque modo vada, sarà un tassello importante che ti porterai dentro. Non è non sbagliando che si cresce, ma acquisendo consapevolezza dei propri errori e, se la maturità ce lo concede, consapevolezza del perché li abbiamo fatti: l’unica strada per evitare di rifarli, almeno esattamente uguali per forma e dimensione.

Non sono riuscita ad andare a casa. Sto vagando per il centro, telefono in mano, pronta a correre quando mi dirai che è finito. Non ho voluto trovare quiete al mio cuore che batte per te, ho scelto di farmi scorrere sulla pelle tutti i minuti dell’attesa senza impegnarli in altro e senza permettere alla mia testa di allontanarsi di un centimetro da te.

Sono giorni che non ti vedo sorridere, te l’ho detto e, giustamente, mi hai detto che doveva arrivare l’esame. Ecco, ne attendo l’esito ancor più che per il passaggio di grado, per rivedere il tuo sorriso che illumina la mia vita ogni giorno. Ti ho insegnato a sorridere che eri piccolissimo, e tu non ti sei fatto pregare per restituire quella posa arcuata della bocca, che rende i tuoi occhi brillanti come stelle.

Mentre aspetto ci scambiamo qualche messaggio, frammenti di conversazione accomunati dalla paura. Certo l’esame è tuo e sono le tue mani che dovranno scivolare sui tasti davanti a maestri che sembrano fare della loro autorevolezza un’arma per verificare la fluidità dei gesti, ma ciò che si prova dall’altra parte non rende le mie mani meno fredde delle tue e il sorriso meno tirato. È l’amore per un figlio, quel sentimento per cui vorresti frapporti tra lui e qualunque cosa possa ferirlo anche solo di striscio, ma che diventa profondo solo nella comprensione che il nostro posto è accanto, dietro, mai davanti a lui.
E io sono lì, accanto a te. Ascolto le ultime prove e ascolterò ogni nota del tuo esame, sussultando a ogni incertezza sperando che tu ne faccia solo un inciampo che non interrompe la corsa.

Adesso mi metto in attesa, con tutto l’amore che ho e con l’orgoglio di avere un figlio straordinario, in qualunque modo vada.


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