Non smetto mai di parlare.

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La statistica è quella disciplina che ha come fine lo studio quantitativo e qualitativo di un particolare fenomeno collettivo in condizioni di incertezza o non determinismo, cioè di non completa conoscenza di esso o parte di esso. Prima definizione pescata online. Ma cos’è la statistica lo so bene. Oltre al fatto che ripetevo proprio ieri sera con Thomas una parte di geografia inerente l’analisi dei dati, la loro raccolta e il loro confronto tramite grafici. Ecco siamo numeri, alla fine di tutto. Inclusi in una raccolta o in un’altra, siamo comunque unità che vanno ad accrescere un qualche dato che statisticamente ha un peso.

Ecco, anche mia madre è un numero. Lo è sempre stata, ma oggi in modo un po’ più specifico. Mia madre è uno dei 569 tamponi positivi rilevati a Modena. (O almeno credo che sia nei numeri di oggi, o forse è in quelli di ieri…poco importa.) Sì, è Covid-19 positiva. E’ malata di Coronavirus. Ecco, sul concetto di malattia si potrebbero spendere parole a fiumi, perché lei è malata da tempo, ma di altro. All’altro adesso si aggiunge questo ‘accidente’ (nel senso di evento imprevedibile e insperato – ovviamente) che può complicare in modo più o meno grave il suo stato di salute. Ad oggi sta bene, i parametri vanno complessivamente bene e lei si arrabbia per una tazza diversa dal solito, uno yogurt che non le piace e mi urla che la vita fa schifo e vorrebbe morire. Io sgrano gli occhi e, come tutte le volte, le rispondo che la decisione non è in mano nostra, succede quando succede ed è piuttosto inutile stare lì ad aspettare il momento fatidico… ‘magari nel mentre, mamma, guardiamo le sfilate per la prossima primavera che il tempo passa meglio’. Lei non sa, o meglio, non capisce che oggi non è come ieri. Eppure dentro di me penso anche che forse qualcuno ha ascoltato il suo desiderio e un granello di probabilità in più di vedere soddisfatto il suo desiderio oggi più di ieri ce l’ha. Ad oggi sta bene, o meglio a ieri sera stava bene perché le notizie mi arrivano sempre a distanza di qualche ora, necessaria perché qualcuno comunichi con me da dove è lei, ovviamente.

Onestamente finirla così, in videochiamata, mi disturberebbe un po’. Sono mesi che non posso accarezzarla, non posso abbracciarla, non posso baciarla. Ho avuto l’opportunità di vederla dal vivo poche rare volte, incontri difficili per la rarità e breve durata, ma di cui era necessario accontentarsi in una situazione di emergenza. Mia madre ha 84 anni e, tra le altre cose, un enfisema polmonare, quindi è proprio uno di quei soggetti che rientrano nel rischio maggiore per questo bastardo virus che non ci lascia in pace. Ma so anche che questo non significa una diagnosi infausta ad oggi. Oggi è solo un dato. E la natura di quel dato implica che chi le sta accanto le si avvicina bardato come un astronauta, la tocca con i guanti, la guarda attraverso una mascherina e una visiera e lei protesta perché sta bene e la tazza della colazione era diversa dal solito e lo yogurt freddo, ma non abbastanza. Finché protesta tutto va bene, mia mamma è una che se sta bene…rompe le scatole. E mai quel rompere ci è così gradito come quando la osserviamo per vedere se sta bene.

Come è successo che sia diventata positiva? Oh ragazzi, ma le leggete le notizie? No perché a me pare chiaro che il virus ha ripreso a circolare piuttosto indisturbato grazie anche a comportamenti non proprio eccelsi e grazie ad una stagione più fredda, meno gradita alle persone ma assai più gradita ai virus. Ho sempre considerato un colpo di fortuna che ancora non ci fossimo finiti in mezzo, perché è vero che le attenzioni, i presidi, le precauzioni sono fondamentali, ma dopo che tutto quello è stato fatto nella maniera migliore rimane comunque uno spiraglio di incertezza dove un cazzillo microscopico si può infilare e fare festa agevolmente. E se la fortuna non ti assiste, succede. Ma con il trascorrere dei mesi è piuttosto inevitabile che prima o poi un tiro di dadi sbagliato faccia centrare perfettamente quello spiraglio e mandi all’aria mesi di attenzioni, presidi e precauzioni.

Se sono arrabbiata? Assolutamente no, o meglio sono incazzata nera con il Corona Virus che è arrivato a sconvolgere le nostre vite e ancora non ci permette di abbracciare le persone, ridere sguaiatamente senza il terrore di infettare qualcuno o preoccuparci per la scuola solo nella misura di compiti in classe e interrogazioni che fanno media. Per quello sì, sono molto arrabbiata. Forse un po’ meno di marzo, ma i picchi di rabbia ancora ci sono e non smonto il divano lanciando i cuscini in modo disordinato in giro per il salotto come fa Thomas solo perché la paura di rompere qualcosa annullerebbe il potere catartico del gesto.

Se sono preoccupata? Bé, come non esserlo? In modo molto razionale, ammetto. Osservo ‘da fuori’ (unico posto dove posso effettivamente stare) cosa succede: mi metto in paziente attesa e cerco di impedire alla mia testa di fare un passo più lungo di quello che mi porta al minuto successivo. Correre adesso non mi serve a nulla. Devo azzerare i pensieri che mi portano distante dal qui ed ora, inutili e fuorvianti. Complicato per la mia natura, ma mia madre mi ha regalato più volte l’opportunità di farlo e ho imparato a mettere dei blocchi ai miei girovagare mentali, delle specie di dighe che impediscono ai pensieri di tracimare. Un esercizio per la mente e per il cuore.

Ora, vi prego, la pletora di ‘mi dispiace’ la possiamo saltare a pie’ pari. Non per non darvi la soddisfazione di dirmi quanto mi volete bene e mi pensate (forse) ma perché che vi dispiaccia lo dò per scontato. Dispiace anche a me, ovvio, ma del dispiacere non me ne faccio nulla. Speriamo insieme che vada tutto bene, questo sì.

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